martedì 12 ottobre 2010

LETTERA DEL M°MALTONI ANTONIO

Nuovo sito nuovo incontro. Non abbiamo mai tempo di parlare, di conoscersi bene; pertanto penso che ciò che non riesco a darvi durante una lezione, tutto ciò che di me dalla lezione stessa non appare, debba esservi offerto per mettervi in condizione di conoscere sia il maestro che l’uomo che avete di fronte.
1° elementare: preghierina, canzoncina di regime. Qualcuno a fine anno sapeva fare la propria firma. Era il 1941
2° elementare: sempre preghierina, canzoncina di regime. Una scuola di campagna, siamo tutti figli di contadini. Più rimaniamo ignoranti meglio è.
3° elementare: sempre preghiera, canzone più divisa di regime (figli della lupa). La scuola è vicina ad un campo d’aviazione. Militari in ogni dove. È maggiore il tempo passato a salutare (con saluto di stato) che quello dedicato ad altro. Cominciano le incursioni aeree, rifugi e bombe.
4° elementare: come sopra, in più le bombe dal cielo, poi il fronte, quindi la liberazione. Non è finita, le incursioni aeree tedesche provocano ancora morte e distruzione. Ho visto 6 civili impiccati ai lampioni della piazza. Ci trasferiamo in città.
5° elementare: tutto è in subbuglio. Ho già capito che poco è cambiato. Ancora preghiera e canzone (religiosa). La scuola non si fa amare.
Siamo oramai liberi, liberi ed affamati, liberi e seminudi nell’inverno. Ogni giorno senti i grandi fare l’elenco dei morti che ogni giorno si arricchisce; perché la guerra uccide prima, durante e dopo.
Dopo soprattutto bambini, curiosi di tutto ciò che la guerra si lascia alle spalle. I nostri giochi sono violenti, fuori del tuo territorio se a rischio, le bande sono piccoli feroci eserciti. Fare a botte è il pane quotidiano.
A 14 anni, arrampicato sul muro fino ad alte finestre, guardavo i boxer allenarsi. C’era il campione italiano con altri bravi dilettanti. Un giorno qualcuno mi notò e mi invitò ad entrare: emozione e felicità.
Nel momento di sbandamento, a 18 anni, lascio la palestra attratto da nuove sirene, ancora emozioni e felicità. Dopo anni di ballo, tabacco e venere (così si diceva) a 25 anni un incidente mi rende stanco… un amico mi parla del karate… karate… karate… KARATEè un crescendo di interessi fino all’amore di una vita.
Questo preambolo perché ognuno di noi si porta dentro il proprio vissuto. Cambiare è stato difficilissimo, tutti i valori della mia infanzia sono stati cancellati, sono stati dannosi nel momento di sbandamento.
La millimetrica precisione delle tecniche di base del karate mette ordine nella mia vita. Dinamismo, respirazione e tecniche creano, insieme, un tutto armonico nel quale il mio continuo nervosismo si placa. Nell’allenamento mi conosco, sento che del mio corpo posso fidarmi, conosco i miei limiti e cerco di superarli.
Ogni giorno, ogni incontro, ogni persona che si allena vicino a me si allena con me; imparo ad avvertire la presenza del mio prossimo.
Riesco a percepirlo vicino a me senza vederlo, ad avvertire la sua determinazione senza che un minimo movimento tradisca le sue intenzioni; a stabilire un contatto con il prossimo che va al di là delle parole o dei gesti.
Ho fatto tanta strada in tanti anni, i miei progressi hanno un padre, che mi ha guidato nella formazione, prima tecnica e poi, soprattutto e conseguentemente, morale: il Maestro Tetsuji Murakami.
Ho respirato, nel tempo, la sua forza, la sua sicurezza, la sua decisione e soprattutto la sua onestà. Non ho mai cercato di imitarlo ma mi sono sempre impegnato per capirlo. Oggi penso di aver capito tanto di lui, non tutto, ma è proprio per questo che amo ancora il mio lavoro.
Avrei voluto parlare della storia del nostro karate, ma la storia è il frutto dell’agire delle persone, è quindi pervasa da quell’insieme di esseri che consumano la loro vita giorno per giorno lasciando sempre qualcosa a qualcuno che poi verrà. La storia è, in definitiva, la storia delle persone singole che si interseca, in ogni momento, con il vissuto di tutti. Quindi ogni percorso è importante perché, per quanto possa essere banale, è comunque unico ed irripetibile.
Ogni nostro percorso è quindi straordinario, è frutto del nostro impegno e delle nostre scelte che scaturiscono dalle nostre conoscenze “Fatti non foste...”
Tempo addietro agli allievi insegnavo tecniche attraverso la conoscenza di disponibilità, velocità, elasticità, vigore, coraggio, precisione, sicurezza perché sentivo che era quello di cui avevano bisogno. Ma nelle mie lezioni portavo con me tutto il mio vissuto, le mie aspirazione e le mie priorità.
Oggi ho capito che le mie priorità non sono quelle dei giovani d’oggi. Quello che per noi era un sogno per loro è banale quotidianità. Però la conoscenza della tecnica mette ancora ordine nella vita di ognuno, la confidenza col proprio corpo dà ancora sicurezza in se stessi, il rispetto degli altri (tutti) fa si che si impari anche il rispetto di se stessi.
Sapete, quasi quasi mi prendo sul serio e continuo ad insegnare a chi ha bisogno che qualcuno lo accompagni (come è successo a me) discretamente, in un percorso che tenda a far emergere le sue qualità.
Forse la mia infanzia, così lontana dall’oggi e privata di tutto ciò che oggi abbonda, aveva quella carica di umanità che oggi manca e che forse è ciò che i ragazzi cercano con maggiore interesse.
Spero proprio sia così.
Antonio Maltoni